DNA umano “catturato” nella sabbia e nell’acqua: una scoperta avvenuta per caso ma che potrebbe comportare dei rischi per la vita privata.
Entusiasmo e inquietudine: questi due sentimenti contrastanti esprimono bene la reazione all’ultima scoperta di alcuni scienziati, che sono riusciti a rintracciare DNA umano nell’ambiente.
È una scoperta destinata ad avere ricadute importanti nel campo della medicina, dell’ambiente e della criminologia. Ma anche una scoperta che pone un problema etico, vista la facilità con cui potranno essere raccolte tracce della vita umana, avvertono gli stessi autori della ricerca apparsa lunedì scorso su ‘Nature Ecology and Evolution’, che per primi hanno inviato a mettere dei «paletti» contro possibili insidie alla vita privata.
Sviluppata di recente, la tecnica cosiddetta del DNA ambientale viene utilizzata per tracciare le specie selvatiche e conoscere più a fondo la biodiversità. Si tratta in pratica di prelevare dei campioni nell’habitat naturale degli animali che lungo la scia del loro passaggio hanno lasciato delle tracce genetiche attraverso le cellule (pelle, pelo, scaglie, ecc.) perdute durante i loro spostamenti.
Una regola a cui nemmeno gli esseri umani fanno eccezione, dato che anche noi diffondiamo il nostro DNA ovunque andiamo: quando camminiamo sulla spiaggia o facciamo il bagno, quando tossiamo o sputiamo in giro, anche quando tiriamo lo sciacquone.
Gli scienziati però non si aspettavano di trovare tracce genetiche umana su così ampia scala, spiegano nello studio. Quella che hanno chiamato «cattura inconsapevole del genoma umano» è cominciata nel Laboratorio Whitney Marine Biodiversity dell’Università americana della Florida, attraverso prelievi di sabbia che miravano a studiare il DNA ambientale delle tartarughe marine.
I ricercatori si attendevano di trovare anche DNA umano nei campioni prelevati, spesso contaminati dalle persone che li maneggiavano. Ma non in quantità così elevate, quasi equivalenti ai campioni prelevati da una persona.
Sul terreno il team di ricerca ha rintracciato impronte genetiche umane quasi dappertutto: nell’oceano e nei fiumi vicino al laboratorio, nei pressi delle città come nei centri meno popolati, perfino sulla sabbia di spiagge isolate.
Gli scienziati hanno raccolto sequenze di DNA abbastanza lunghe da poter essere “lette”, consentendo loro di identificare mutazioni collegate a malattie come il diabete, o di determinare l’ascendenza genetica. Addirittura sono stati in grado di sequenziare parti di genoma di alcuni partecipanti volontari che hanno acconsentito al prelievo del loro DNA dalle impronte lasciate sulla sabbia.
Una scoperta come questa, come appare evidente, ha potenziali benefici ma anche rischi da non sottovalutare. Tra i primi c’è la possibilità di individuare mutazioni cancerose nelle acque reflue o di identificare un sospetto reo di qualche crimine. Tra i rischi c’è quello di usare impropriamente la tecnica del DNA ambientale per rintracciare specifici individui o determinate minoranza etniche. Per non parlare del consenso alla raccolta di dati che, di fatto, fluttuano liberamente nell’aria.
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