Amare a volte può diventare una dipendenza malsana, che ci intossica. Attenzione ai campanelli d’allarme della dipendenza affettiva.
Quali sono i segnali che devono preoccuparci: ecco quando l’amore diventa una droga pericolosa.
Siamo liberi, ha detto il filosofo-contadino Gustave Thibon, quando possiamo dipendere da ciò che amiamo: quando sposiamo la persona di cui siamo innamorati, quando facciamo il mestiere per cui ci sentiamo portati, ecc.
Ma è altrettanto vero che ci sono anche dipendenze malsane: amori che di amorevole hanno soltanto il nome e che trasformano quel legame sano e appagante in una catena che ci schiavizza. Sono quelle che conosciamo col nome di dipendenze affettive dove l’equilibrio organico tra dare e ricevere si è alterato al punto da svuotarci emotivamente, lasciandoci un fardello fatto di ansia, depressione, malessere fisico.
Amori che diventano idoli. E come noto, gli idoli richiedono sacrifici sanguinosi per alimentarsi. Nel caso della dipendenza affettiva l’amore diventa qualcosa di analogo a una droga che ci dà un momentaneo appagamento. Al prezzo però di precipitarci in una spirale autodistruttiva dove si è disposti a tutto pur di avere un’altra “dose”: cioè la presenza del partner.
Dipendenza affettiva: i segnali inconfutabili
Ma quali sono i segnali inconfondibili della dipendenza affettiva? Eccone alcuni
- Sensazione inebriante. In presenza del partner si sperimenta ebbrezza, euforia esagerata. Come una droga, appunto, che ci permette di evadere dal tran tran quotidiano.
- Ricerca della “dose”. Si va alla ricerca di “dosi” sempre più sostanziose di presenza e tempo con la persona amata. In mancanza delle quali ci si sente prostrati. Come se la nostra esistenza stessa dipendesse dalla sua presenza.
- Cadere nei circoli viziosi. Si torna sempre a capo ripetendo sempre gli stessi errori, come in un loop interminabile.
- Incapacità di controllarsi. Non si riesce a darsi un minimo di autocontrollo. E tutti questi falliti tentativi di controllarsi fanno sperimentare una sensazione di sconfitta, oltre che di insicurezza e incertezza.
- Craving. È un vero e proprio disagio psicofisico causato dall’assenza del partner. Una sorta di intolleranza alla sua mancanza, con sintomi di astinenza, paura dell’abbandono, panico fuori controllo.
- Isolamento del mondo esterno. Si tende a tagliare ogni relazione che non includa il partner.
- Polarizzazione. Si oscilla tra atteggiamenti opposti e estremi, tra sopravvalutazione e sottovalutazione.
- Paura. C’è il timore folle di poter perdere la persona amata (o, meglio, idolatrata).
- Ambivalenza affettiva. Come dice una nota canzone degli U2, ci si sente di non poter vivere con la persona amata ma nemmeno senza di lei. Sono fortissimi sia il dolore (a causa di umiliazioni, tradimenti, maltrattamenti) che la paura angosciosa di perdere il partner.
- Mancato riconoscimento dei propri bisogni e delle proprie emozioni. Essendosi annullati per il partner, tutte le proprie necessità sono state subordinate a quelle della sua persona, ogni nostra energia è stata mobilitata a questo scopo. Rendendoci incapaci di prenderci cura di noi stessi.
- Autostima relazionale (ovvero dipendente dal giudizio del partner). La nostra autostima finisce per dipendere totalmente dal giudizio del partner.
- Narcisismo “mascherato”. Il narcisista “coperto” (o covert) nutre la sua sensazione di essere unico e speciale aiutando gli altri, fomentando un disperato desiderio di prossimità che consente di “innalzare” l’autostima relazionale.
- Sessualità strumentale. Si utilizza la sessualità per tenere in piedi la relazione, come uno strumento, non per accrescere l’intimità e la donazione reciproca.