Spesso sottovalutiamo l’immenso potere delle parole, capaci di penetrare nel nostro mondo interiore per sanarlo o, al contrario, per ferirlo con la prepotenza di una grandinata.
Il modo in cui agiamo è anche il frutto del linguaggio con cui ci rivolgiamo a noi stessi nel corso dei dialoghi che tutti intratteniamo con la nostra anima. Un dialogo che può rafforzarci ma anche debilitarci.
Parole di vita, dunque, o parole di morte. D’altronde non dev’essere stato un caso che nell’antica Atene la calunnia venisse indicata col nome di Diabolé, sul quale crediamo non ci sia da dilungarsi molto.
Comunque sia, è certo che le parole hanno un peso, che a volte può rivelarsi quello di un macigno che va a gravare sul nostro umore condizionandolo in maniera preponderante. Le parole possono pesare come pietre sull’animo. È il grande potere del linguaggio che, anche inconsciamente, finisce per orientarci in una direzione o nell’altra.
Ma vediamo quand’è che le parole rischiano di avere un impatto devastante su di noi.
Sono quelle parole dove il carico da quaranta finisce per accentuare l’aspetto emotivo. Col rischio di abusarne quando si enfatizzano troppo le emozioni, amplificandole oltre misura. In pratica, quando usiamo come se fosse prezzemolo termini come «spaventoso», «agghiacciante», «terribile», ecc. Meglio cercare di essere il più oggettivi possibile senza sovraccaricare le situazioni – e l’inconscio – di significati che non hanno.
La vita non è sempre fatta di aut-aut, di tutto o niente, di bianco o nero. Bando al manicheismo che ignora le sfumature. Usare sempre termini perentori, definitivi, ultimativi («sempre», «mai», «assolutamente», ecc.) finisce per estremizzare i processi del pensiero. Quando invece senso del relativo e dell’assoluto andrebbero dosati: ogni cosa al suo posto. Altrimenti c’è il rischio di assolutizzare o di relativizzare tutto.
Etichettarsi con giudizi screditanti («stupido», «incapace», «fallito») è devastante. Anche in questo caso è importante saper distinguere tra un atteggiamento o una condotta sbagliata e la nostra persona. Potremo aver commesso degli errori in una circostanza specifica ma meritiamo sempre rispetto. Prima di tutto da parte di noi stessi.
Parole d’ordine, imposizioni: devo fare questo o quello, ho l’obbligo di fare quest’altra cosa, ecc. Il doverismo non ha mai fatto bene a nessuno. Un conto è un sano senso dei propri doveri, un altro è trasformarlo in un legalismo che genera soltanto angosce e sensi di colpa.
Ci sono parole con le quali, con la scusa di recitare la parte della vittima, tendiamo a sottostimarci. Il repertorio è vasto: parole come debole, inutile, incapace, impossibile, esausto, ecc. Termini che ci demoralizzano perché vanno pesare come pietre sulla nostra autostima. Abusare di queste espressioni può farci perdere coraggio davanti alla difficoltà e impedirci ogni assunzione di responsabilità.
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