In F1 vi sono stati diversi piloti paganti capaci di sborsare di tasca propria importanti cifre per potere prendere parte a qualche stagione o Gran Premio.
Il circus è il sogno di qualsiasi pilota di auto da corsa. Poterci arrivare significa rientrare in una ristretta cerchia di fenomeni che, ogni anno, riscrivono i libri di storia della massima categoria del Motorsport. Non tutti hanno un talento così cristallino da meritare un sedile. In alcuni casi occorrono gli agganci giusti e una valigia piena di soldi per sfondare.
Incredibile ma vero, penseranno taluni, c’è chi è disposto a pagare per rischiare la propria vita. Va detto che arrivare a gareggiare in F1 significa ottenere fama e, eventualmente, cifre da capogiro. Si tratta di una vetrina nella quale i migliori strappano contratti con gli sponsor e anche uno stipendio da favola. In questo articolo non troverete i soliti noti, ma i driver che si sono dovuti pagare, inizialmente, il posto in un team.
Negli ultimi anni si è fatto un gran parlare di Nikita Mazepin, Nicholas Latifi, Lance Stroll, ma i piloti con valigie piena di bigliettoni sono sempre esistiti nel circus. Probabilmente non erano dei ricchi ereditieri a livello di Mazepin, ripudiato, al momento dell’invasione russa in Ucraina, dal team Haas. Di sicuro tra un pilota medio pagante come Zhou e uno di una Academy importante come la FDA come Giovinazzi, si tende a scegliere quello con le tasche piene.
I pay driver sono risultati indispensabili per consentire a molti team di rimanere in vita, ma non sempre le storie sono andate a buon fine. Un esempio tragico fu Roland Ratzenberger, ovvero l’austriaco della Simtek che corse nelle prime gare del 1994, morendo il giorno prima di Ayrton Senna nelle qualifiche del Gran Premio di San Marino. I rischi connessi all’impreparazione di bolidi impressionanti sono stati sottovalutati.
Un pilota che costò alla Ferrari un titolo mondiale fu Vitaly Petrov. Alla sua prima annata registrò subito 3 ritiri, ma ottenne complessivamente 26 punti in classifica. Il russo, pur essendo scelto per i suoi fondi, non era tra i più scarsi della griglia. In tre anni nel circus collezionò anche un podio in Australia. Ha corso con la Renault e con la Caterham. Ha continuato a gareggiare nella 24 Ore di Le Mans.
Forse a causa di questi pay driver non abbiamo assistito all’esplosione di potenziali campioni delle quattro ruote. Oggi come allora devono coincidere diversi fattori. Di sicuro i figli d’arte hanno la strada spianata. L’ultimo in griglia è stato Mick Schumacher, appiedato dopo un biennio in Haas. Non è un segreto che il team americano scelse due profili giovani, come il tedesco e il sopracitato russo, per denaro e sponsor.
Uno dei pay driver e più spinti della storia fu il brasiliano Pedro Diniz. Suo padre Abílio dos Santos Diniz, proprietario della Companhia Brasileira de Distribuiçao ed uno degli uomini più facoltosi del Brasile, rese possibile, a suon di sponsor (Parmalat) e milioni, il suo debutto nella Forti Corse, e in seguito in Ligier, Arrows e Sauber. In totale ha conquistato 10 punti, mettendo a referto in 6 stagioni una quantità di ritiri impressionanti.
Nel 1994, dopo alcune prove con Larrousse, Footwork e Lotus, Taki Inoue, grazie al budget monetario di cui disponeva, debuttò sulla Simtek. Dopo il ritiro nel suo Gran Premio di casa, nel 1995, trovò spazio in un’altra squadra che navigava in difficoltà finanziarie e necessitava di pay driver. La Footwork gli garantì il sedile per tutta la stagione, ma non ottenne nemmeno un punto. Miglior risultato in F1? Un ottavo posto a Monza. I genitori di Sakon Yanamoto, invece, misero a disposizione svariati milioni per le stagioni alla Super Aguri. Anche in questo caso 0 punti all’attivo.
L’austriaco può rientrare in questa speciale classifica, pur essendo una anomalia del sistema. Il tre volte campione del mondo, prima di arrivare ai piani alti del circus, dovette trovare uno stratagemma per riuscire ad attirare l’attenzione su di sé. Ottenne il sedile del team March, impegnato all’epoca in Formula 2, grazie ad un prestito. In quel caso il viennese, figlio di una ricca famiglia di banchieri austriaci, si prese un rischio calcolato, arrivando a vincere in Ferrari e McLaren dei titoli mondiali.
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