Possiamo pagare con gli spiccioli da 1 o 2 centesimi anche quando il cassiere storce il naso? Ecco quello che c’è da sapere.
A volte infatti i negozianti rifiutano di farsi saldare il conto con le monetine. Vediamo cosa dice la legge sui pagamenti coi tagli più piccoli delle monete metalliche.
A volte frugando nelle tasche o nel portafoglio capita di trovare quelle monete da 1 e 2 centesimi di cui, diciamolo con franchezza, non sappiamo bene che farcene. Potremmo anche pagarci il caffè, ma il solo pensiero di consegnare una pila di monetine alla cassa a volte basta a scoraggiarci. Infatti spesso e volentieri siamo i primi a perdere la pazienza nel metterci a contare tutti quegli spiccioli da pochi centesimi. Un onere di rito che poi toccherebbe in dote anche al malcapitato cassiere. Il tutto mentre dietro di noi magari comincia a formarsi una coda di gente che di tempo e pazienza ne ha regolarmente meno di noi…
Ecco perché non è raro che a volte sia direttamente il negoziante stesso a farci intendere, in maniera più o meno esplicita, che non gradisce vedersi saldare il conto con monetine dal taglio così minuscolo. A quel punto la scena si conclude come sempre: per togliersi dall’imbarazzo si finisce per puntare su tagli più presentabili in società (e alla cassa). Come le classiche monete da un euro o la banconota da cinque euro. Col risultato, una volta ricevuto il nostro resto, di vederci gonfiare il portafoglio di qualche altro spicciolo. Problema solo rimandato, dunque, quello di disfarci delle ingombranti monetine da 1 e 2 centesimi.
A questo punto viene da chiedersi: ma i negozianti possono davvero rifiutare il nostro pagamento in centesimi? Bene, la risposta è decisamente no. A spiegare le ragioni per cui si devono accettare i pagamenti in moneta spicciola è stato Massimiliano Dona, il presidente di Consumatori.it. Sul suo profilo Instagram ha pubblicato un breve video dalla didascalia eloquente. In accompagnamento al post si legge infatti: “Il negoziante non può negarti di pagare con i centesimi!”.
Successivamente nella cilp si può sentire una conversazione alla cassa tra un operatore e un cliente, col primo impegnato a spiegare al secondo di poter accettare monete solo fino a 5 centesimi. Al bando quelle da 1 e 2 centesimi quindi. Il motivo del gran rifiuto? La banca di riferimento dell’esercizio non accetterebbe monetine di taglio inferiore.
Peccato che le cose non stiano precisamente così, spiega Dona. Il cassiere ha fornito al cliente un’informazione sbagliata. Infatti né la legge né, tantomeno, le banche rifiutano i centesimi. Si tratta, fa presente Dona, di un’autentica violazione nei riguardi del consumatore che spesso e volentieri, ignorando come stiano davvero le cose, incassano il colpo da parte del negoziante che vuole incassare sì, ma non in centesimi. E dunque il consumatore subisce e ripiega sulle monete di taglio superiore.
È vero che la legge ha decretato che a partire dal primo gennaio 2018 «è sospeso il conio da parte dell’Italia di monete metalliche in euro di valore unitario pari a un centesimo e a due centesimi di euro».
Ma è altrettanto vero che nulla proibisce di usare gli spiccioli che ci rimangono in tasca per pagare. Stando infatti al Decreto Legge del 24 aprile 2017, n. 50 convertito poi in legge (21 giugno 2017, n. 96, all’articolo 13-quater), «resta impregiudicato il corso legale delle monete metalliche in euro destinate alla circolazione di valore unitario pari a un centesimo e a due centesimi di euro secondo le norme ad esse applicabili».
Quindi chi alla cassa volesse impedirci di pagare con gli spiccioli si sta semplicemente rendendo protagonista di un illecito.
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