Lo Stato sta dando una grande mano alle società di calcio, con la tassazione che in certi casi risulta essere agevolata.
La Pandemia legata al Coronavirus ha messo evidentemente in ginocchio molti settori della nostra economia che sono stati costretti a rivolgersi allo Stato. Lo stesso è capitato anche alle società calcistiche che non riuscivano a pagare molti stipendi onerosi dei suoi calciatori.
Non è un caso che proprio in un periodo così confuso siano nate idee come quelle della Superlega per poter ampliare gli introiti. Lo Stato però, dopo un lungo tira e molla, ha deciso di venire incontro alle squadre e già con la Legge 91 del 1981 si è dato modo alle società di poter trattare i calciatori su base di stipendi netti. Sarà poi compito della società stabilire il compenso lordo.
Benché si parli sempre in maniera negativa del grande numero di soldi che ormai fanno parte del mondo del calcio, in realtà per i cittadini è solo che un bene. Il denaro è privato ed è dei Presidenti e ogni anno sono elevatissime le tasse che devono essere versate.
Nel 2014, ultimo anno del quale è stato possibile risalire alla cifra esatta, si parla di una spesa complessiva di 1 miliardo 73 milioni 301 mila 383 Euro. Pensate che solamente il punto sulla ritenuta IRPEF comporta una spesa di 542 milioni di Euro, più del 50%.
A questo si deve aggiungere anche l‘IRES, ovvero l’imposta sul reddito delle società, stanziata a sei milioni per ogni squadra, in più ci sono i complessivi 233 milioni di IVA da dover versare. Dunque le società di calcio contribuiscono con i loro soldi a diverse manovre e decreti governativi.
Molti avranno notato che nell’ultimo periodo è aumentato e non di poco il numero degli stranieri nelle squadre di Serie A. La motivazione è legata all’emanazione del Decreto Crescita, una Legge introdotta nel 2019.
In questo testo di Legge si parla di come ci possa essere un’esenzione del 70% sull’IRPEF da parte delle società su tutti quei lavoratori che entrano in Italia dall’estero. Questo dunque vale anche per gli italiani che vivono fuori dai nostri confini, ma nel calcio è un incentivo all’acquisto di stranieri.
Si tratta di un vantaggio fiscale importantissimo e che è ancora di più accentuato nel Sud Italia, dove l’esenzione si espande fino al 90%.
In genere le tassazioni dei calciatori vengono direttamente pagate dalle società. Questo è dettato dal fatto che si trattano di lavoratori che, per quanto ben retribuiti, sono comunque all’interno di uno stipendio fisso e non sono liberi professionisti.
Nonostante gli stipendi dei calciatori abbiano ormai raggiunto delle cifre sempre di più astronomiche, il costo per la società è ben superiore rispetto al netto. Secondo la tassazione italiana infatti i calciatori presentano delle differenze sulla tassazione in base al guadagno.
Considerando come il pagamento minimo è di 15 mila Euro annui per ogni giocatore professionista, coloro che percepiscono tra questa cifra e i 28 mila Euro avranno una tassazione del 27%. Si passerà al 38% per chi percepisce tra i 28.001 e i 55 mila , mentre diventa del 41% tra i 55.001 e i 75 mila Euro.
Per le squadre blasonate il calcolo invece sarà sempre in base al costo superiore rispetto ai 75 mila Euro, ovvero con l’aliquota del 45% e a questi andrà aggiunto un 1,73% di tassa regionale e uno 0,8% di tassa comunale. Lo stipendio netto del calciatore quindi è all’incirca del 55% rispetto al costo totale per la società.
Questo distinzione e differenze di ingaggi dimostrano come ci sia una bella differenza tra netto e lordo. Prendendo il caso per esempio della Juventus, Paul Pogba sia il giocatore più pagato percependo 8 milioni netti. Il francese rientra però nel Decreto Crescita e dunque è solo il quinto più costoso della rosa, dato che comprensivo di tasse costa 10,25 milioni.
Il più costoso dunque diventa Dusan Vlahovic che viveva già in Italia, comporta una spesa di 12,95 milioni di Euro a discapito dei 7 milioni di Euro netti.
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