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Economia

Prestiti in vita: scopri se al momento della successione questi soldi rientrano nell’eredità

Published by
Emiliano Fumaneri

Cosa succede ai soldi prestati durante la vita del defunto al momento della successione? Rientrano o meno nell’eredità?

Scopriamo quali conseguenze ci sono per gli eredi in caso di prestiti elargiti in vita dal defunte. Perché non è detto che siano sempre positive per i suoi eredi. .

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Come sappiamo anche le donazioni sono regolamentate dalla legge, essendoci di mezzo l’eredità. A questo riguardo come funziona invece col denaro prestato in vita? Anche i soldi prestati rientrano nell’eredità?

Chiaramente stiamo parlando di qualcosa di molto diverso. Il prestito di denaro infatti, a differenza della donazione, prevede che si sia anche la restituzione. Dunque due movimenti invece che uno. Conseguentemente anche la disciplina successoria non potrà essere la stessa. Questo anche se i prestiti elargiti hanno un peso rilevante sulla massa ereditaria.

Inoltre la legge sul rapporto tra eredità e denaro prestato in vita, a seconda delle circostanze, può avvantaggiare come svantaggiare gli eredi del patrimonio.

Donazione e prestito: quali sono le differenze

Come dicevamo tra donazione e prestito c’è una differenza che salta subito agli occhi. Ovvero che la donazione non prevede la restituzione, al contrario del prestito (che altrimenti non sarebbe semplicemente tale). In concreto a permettere di capire se c’è stato un prestito o una donazione è la volontà comune delle parti interessate.

Si parte infatti dal presupposto che chi ha dato il denaro e chi lo ha ricevuto abbiano concordato in anticipo quale sarebbe stata la natura del trasferimento della cifra. All’atto pratico si possono verificare delle discrepanze, anche dei malintesi. Un’eventualità che può presentarsi soprattutto nel caso in cui il donatore (o prestatore) del denaro fosse ormai scomparso. Arrivare a determinare se il denaro trasferito rientrasse in una donazione o in un prestito è molto rilevante, soprattutto a fini ereditari. In casi come questi dunque il giudice deve arrivare a una decisione in base ai criteri oggettivi di cui dispone.

Per poter affermare con certezza che siamo in presenza di una donazione serve il cosiddetto animus donandi del donante. Bisogna cioè ricostruire l’intenzione e la sua predisposizione nel fare un atto di donazione. In sintesi, deve emergere con chiarezza la volontà di arricchire il beneficiario senza per questo ricevere alcunché in cambio. La donazione esclude dunque il corrispettivo. Tanto più che le donazioni più sostanziose vanno fatte con atto notarile. Da questo punto di vista escludono quindi qualsiasi dubbio.

Nello stesso tempo anche una scrittura privata relativa a un prestito basta a fugare dubbi di sorta sulla natura del trasferimento. Ad ogni modo è determinante la dichiarazione degli eredi in mancanza di prove scritte sui soldi ricevuti.

Patrimonio ereditario e soldi prestati in vita

Gli eredi non possono impugnare i soldi prestati in vita dal defunto, proprio in vista della prevista restituzione. Infatti i prestiti non possono ledere le quote di legittima, essendo prevista la restituzione della cifra che dunque va a confluire nel patrimonio ereditario. Naturalmente non deve verificarsi il trasferimento vero e proprio di denaro, a condizione che si possa calcolare la corretta distribuzione del denaro.

Ciò vuol dire che se il denaro prestato non è stato restituito al defunto, bisogna comunque che avvenga la sua restituzione nella massa ereditaria. In circostanze come queste, gli eredi possono avviare un’azione legale per vedersi restituire il prestito. Nella successione infatti rientrano anche i crediti. I quali poi vanno suddivisi tra gli eredi sulla base delle quote ereditarie.

Eredità e prestito: quando all’ereda va male

Un principio come questo non favorisce tutti gli eredi. È favorevole solo a quelli che non hanno avuto soldi in prestito dal defunto. Ogni persona in debito col defunto è chiamata infatti a restituire il credito, indipendentemente dal suo diritto di successione. La divisione ereditaria – operante sull’intero patrimonio, anche se in maniera convenzionale – garantirà comunque i diritti successori. Contestualmente, a differenza di quel che accade per le donazioni impugnabili, i debiti vengono prescritti in dieci anni.

Questo fatto ha delle conseguenze, e cioè che:

  • chi ha avuto del denaro sotto forma di prestito dal defunto deve “rimetterlo” nel patrimonio ereditario. Questo anche se il debitore è al tempo stesso anche erede dalla persona scomparsa.
  • se dal prestito sono trascorsi oltre 10 anni (oppure dall’ultima volta che il defunto ha chiesto la restituzione della somma prestata), il debito risulta prescritto. E in questo caso i soldi non rientrano nell’eredità.

Ad ogni modo se gli altri eredi si dicono d’accordo, c’è sempre la possibilità, da parte dell’erede-debitore, di fare la differenza tra il debito e la quota patrimoniale a cui ha diritto. Così potrà restituire soltanto la parte eccedente la quota ereditaria (o toglierla da quest’ultima). Poi di fatto una parte del debito già si estingue accettando l’eredità, dato che l’erede la deve a sé stesso. C’è un’altra alternativa a disposizione: levare dal debito la parte proporzionale alla quota dell’erede-debitore. Quest’ultimo dunque dovrà versare quanto resta agli altri eredi (sempre in proporzione alla quota).

Nella stessa identica maniera, anche il recupero dei crediti dai debitori terzi dovrà avvenire sulla base delle quote ereditarie. Per recuperare questi crediti servirà però una causa civile, dato che gli eredi automaticamente risultano i nuovi creditori.

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