C’è chi crede che la Postepay sia una specie di “zona neutra” dove i controlli del fisco non arrivano. Farebbe bene a ricredersi.
Anche le carte prepagate – ogni utilizzo delle quali risulta tracciato – rientrano infatti nei controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate. Ecco fino a quando il fisco può fare controlli e verifiche sulla nostra Postepay.
Non mancano i “furbetti” che usano la Postepay per far passare sottotraccia pagamenti da nascondere al fisco. Ma è bene sapere alcune cose che sconsigliano di muoversi in questa direzione. Da tempo l’Agenzia delle Entrate ha esteso i controlli antievasione fiscale anche alle carte prepagate. Tanto più dopo che nel 2019 la Cassazione ha confermato che si possono controllare anche i conti correnti dei privati (cioè di chi non ha redditi derivanti da attività imprenditoriali).
In sostanza basta un movimento sospetto e non dimostrabile per far scattare una presunzione di “nero” (ovvero di evasione fiscale). Una disciplina a cui non sfuggono nemmeno lavoratori e pensionati (e perfino i disoccupati). Con tanti saluti al periodo in cui si provava ad aggirare il fisco intestando carte e conti a genitori anziani o a “insospettabili” familiari (perché appunto disoccupati).
Quando scattano però i controlli sulla Postepay?
Da alcuni anni l’Agenzia delle Entrate si avvale dell’Anagrafe dei conti correnti (detta anche «Archivio dei rapporti finanziari»). SI tratta essenzialmente di un database creato grazie a un flusso di informazioni comunicate ciclicamente da banche e poste. Ogni intermediario finanziario (tra cui anche Poste Italiane) deve rendicontare al fisco ogni rapporto finanziario coi propri clienti.
Parliamo di dati come il numero di conto, il saldo del conto, i movimenti in entrata e in uscita (dunque versamenti, prelievi, bonifici fatti e ricevuti, eccetera). Ma anche altri servizi come cassette di sicurezza, accrediti dividendi, gestione titoli, ecc. Tutte informazioni contenute in un archivio telematico a cui l’amministrazione finanziaria (compresa anche la Guardia di Finanza) può accedere per fare i suoi controlli.
Da questo punto di vista la carta Postepay non fa eccezione. Anche perché quando viene rilasciata è associata al codice fiscale del correntista. Ciò vuol dire che ogni utilizzo della carta Postepay, sia in entrata che in uscita, viene “tracciato” e può essere ricostruito anche a distanza di anni per un controllo. Perciò anche la carta Postepay rientra nei controlli fiscali. Chi pensa di risolvere il problema con la carta Postepay anonima (la carta «Postepay Twin») si illude, perché l’anonimato non vale mai nei confronti del fisco.
Fino a quando possono spingersi i controlli sull’utilizzo della carta Postepay? Fino a un massimo di cinque anni prima per chi ha occultato dei redditi, non denunciandoli al fisco nella dichiarazione dei redditi. C’è da tenere in conto poi che la carta Postepay può anche essere pignorata da parte di un eventuale creditore. Il creditore infatti, dopo aver notificato al debitore l’atto di precetto, invitandolo a pagare la somma dovuta entro 10 giorni, può chiedere al Presidente del Tribunale l’autorizzazione per accedere all’anagrafe tributarie e dei conti correnti.
In questo modo il creditore potrà verificare il reddito del debitore, venendo a conoscenza se è titolare di conti e carte prepagate, inclusa anche una Postepay. Dopodiché il creditore può procedere a pignorare il saldo, cioè il denaro depositato e non ancora speso.
L’unica maniera per limitare i danni è quella di riuscire a dimostrare che sulla carta Postepay confluiscono soltanto redditi da lavoro dipendente o pensioni. In questo caso infatti si applicano gli ordinari limiti al pignoramento, e cioè:
Il contribuente deve dichiarare le somme percepite sulla carta Postepay soltanto nel caso in cui queste vadano a costituire reddito imponibile, cioè si tratta di soldi da tassare. Non deve dunque dichiarare il denaro chi:
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