Hikikomori, è allarme rosso: non escono più di casa, a migliaia

Cifre preoccupanti quelle dei teenager che scelgono di ritirarsi dalla vita sociale e non mettono più piede fuori dalla loro stanza.

Si tratta di un fenomeno in crescita e che quasi certamente riguarda anche giovani più grandi. Una ricerca per la prima volta fa una stima ufficiali dei “ritirati sociali”: gli Hikikomori.

allarme adolescenti
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Hikikomori, chi sono? Tutto partì dal Giappone degli anni Ottanta, quando cominciò a diffondersi il fenomeno dei “ritirati sociali”. Persone, perlopiù giovani o giovanissimi, che si autoghettizzano. O, meglio, che “stanno in disparte”, si “staccano” dalla vita sociale. È precisamente questo il significato, in giapponese, di Hikikomori. La marginalità sociale come scelta. Un fenomeno nato in Giappone, come detto, ma allargatosi poi a partire dagli anni duemila anche a Europa e Stati Uniti.

In Italia gli Hikikomori sarebbero più di 50 mila. Un dato emerso dallo studio nazionale svolto dal Gruppo Abele e dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Pisa. È la prima volta che si prova a avanzare una stima ufficiale dei ragazzi che optano per la clausura casalinga, ritirandosi per mesi in casa. Tra le mura domestiche gli Hikikomori passano il tempo a dormire o a guardare la televisione, a leggere o a giocare online.

Hikikomori, un campione di oltre 12 mila ragazzi

La ricerca ha interessato un campione rappresentativo della popolazione scolastica italiana di oltre 12 mila studenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Con risultati che fanno suonare un campanello d’allarme. Fino a poco tempo fa il fenomeno Hikikomori era tutto sommato considerato marginale. Ma adesso le stime parlano di circa 54 mila teenager che si rinchiudono in una sorta di auto-lockdown. Giovani e giovanissimi che si trasformano in “ritirati sociali”. Non escono più di casa, non vanno più a scuola, non vedono più amici. Si chiudono nella loro stanza e limitano al massimo i rapporti col mondo esterno. I residui contatti vengono mantenuti soprattutto attraverso il web.

Tra gli adolescenti intervistati, il 18,7% dice di non essere uscito di casa per un tempo significativo (escludendo i periodi di lockdown in pandemia). Di questi, l’8,2% non ha messo un piede fuori casa da uno a 6 mesi e anche di più.

Le situazioni più gravi sono considerate quelle degli Hikikomori autoconfinati in casa da oltre 6 mesi. A forte rischio anche chi non esce dall’abitazione da 3 a 6 mesi. Si tratta di un fenomeno, spiegano gli autori della ricerca, antecedente al Covid. Un fenomeno in crescita che i ricercatori si dicono pressoché certi non essere limitato a giovanissimi fino a 19 anni, ma tocchi anche la fascia che va fino a 25 anni.

Hikikomori, le differenze tra maschi e femmine

Resta il fatto che la fascia di età maggiormente a rischio Hikikomori è quella che degli adolescenti che vanno dai 15 ai 17 anni. Ma già nel periodo delle scuole medie c’è un periodo di “incubazione” delle cause che porteranno all’auto-reclusione. Tra i sessi ci sono differenze sia di numeri che di percezione. Tra i “ritirati sociali” i maschi sono la maggioranza, ma le femmine tendono a definirsi con più facilità come Hikikomori. Ma le differenze non si fermano qui: ad esempio nell’impiego del tempo le ragazze hanno maggiore propensione a dormire, a leggere, a guardare la televisione. I maschi invece si danno di più al gaming online.

Quello che colpisce gli esperti è il fatto che parliamo di giovanissimi che a scuola hanno un ottimo rendimento e provengono da famiglie senza problemi economici. In passato però hanno avuto problemi coi loro coetanei e si sono visti prescrivere psicofarmaci. Problemi relazionali e psicologici dunque.

Le reazioni dei genitori degli Hikikomori

Quanto ai genitori, la ricerca ha indagato anche le reazioni dei padri e delle madri al ritiro sociale dei figli. Fotografando un panorama sorprendente. Sono emerse sostanzialmente tre tipi di reazioni genitoriali:

  • trascuratezza: quasi un genitore su cinque (19,2%) agli occhi dei figli sembra quasi non essersi accorto di nulla;
  • incomprensione: più di un genitore su quattro (26%) invece sembra accettare l’auto-isolamento dei figli senza farsi troppe domande;
  • preoccupazione: meno di un genitore su sette (14,8%) si preoccupa per la situazione del figlio, rivolgendosi al medico e prendendo contatti con la scuola.

E non manca (nel 6,1% dei casi) chi reagisce mettendo in punizione i figli per il loro comportamento. Come spiega al Fatto Quotidiano Sabrina Molinaro, ricercatrice del Cnr, «sono ragazzi che non sentono l’affetto dei genitori. Le famiglie più a rischio sono quelle ricostituite dove c’è un certo caos».

E la scuola come reagisce?

L’istituzione scolastica appare più pronta a reagire ai casi di ritiro sociale. Al punto che alcuni uffici scolastici regionali hanno previsto la possibilità di usufruire di una certificazione, rilasciata dalla competente Asl, con la quale si attesta la “condizione di ritiro sociale” dello studente.

La singola scuola così ha la possibilità di adottare criteri più flessibili, derogando in parte all’obbligo di frequenza. In modo che la presenza più rarefatta dello studente nelle aule scolastiche possa compromettere la valutazione finale e, di conseguenza, portarlo a perdere l’intero anno scolastico.

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