Da qualche tempo il fenomeno – già preoccupante – della diffusione degli psicofarmaci si sta legando al pressapochismo delle star dei social.
Abituati a pontificare su tutto pur di racimolare visualizzazioni, alcuni influencer cominciano ad addentrarsi nel campo minato degli psicofarmaci e della psicoterapia. Col rischio di provocare disastri. Con la salute mentale non si scherza.
Sono tantissimi gli italiani che prendono psicofarmaci. Le stime parlano di circa 17 milioni. Dati che fanno riflettere, tanto più che siamo davanti di un fenomeno in continua crescita e, per giunta, legato a inquietanti fenomeni di abuso.
Non sono pochi purtroppo i nostri connazionali che assumono psicofarmaci (antidepressivi, ansiolitici, antipsicotici, sedativi ipnotici) senza osservare la corretta posologia. Un tema quanto mai attuale dopo il racconto di Fedez, il popolare rapper che nei giorni scorsi ha raccontato sui social la sua (brutta) esperienza dopo la brusca interruzione di uno psicofarmaco.
Da tempo in Italia assumere psicofarmaci non è più un argomento tabù e tanto meno un fatto rinchiuso nel perimetro vigilato e monitorato di una prescrizione medica. Ma uscire da questo perimetro e darsi al fai da te può essere una pratica per la quale ci sarà un alto prezzo da pagare, con tutti i rischi del caso.
Ad ogni modo, la tendenza al consumo di psicofarmaci è in salita da almeno sette anni del 10%. Più ancora cresce anche l’impiego di antipsicotici per schizofrenia (+20% dal 2014 al 2021) e ansiolitici. Nella quotidianità di molti italiani hanno fatto così il loro ingresso nomi come Luoxetina, sertralina, citalopram, scitalopram, fluvoxamina e paroxetina.
E come se non bastasse, a rendere lo scenario ancora più fosco è il fatto inquietante che l’uso di psicofarmaci sta diventando una moda dilagante anche tra i giovanissimi. La Generazione Z li usa però soprattutto per sballarsi. Già ragazzini sui 13-14 anni si imbottiscono di psicofarmaci per questo motivo. Ovvero per andare alla ricerca di effetti e sensazioni che con la medicina e la cura non hanno nulla a che fare.
Più preoccupante ancora è il fatto che su TikTok si sia perfino creata una community per dare un voto a farmaci come Abilify, Depakin o Quetiapina. Con tanto di inquietanti recensioni ad accompagnare i “giudizi”. Giova ricordare che stiamo parlando di farmaci che andrebbero assunti sotto stretta osservazione e seguendo precise indicazioni fornite dagli esperti. Inutile dire che sui social regnano invece pressapochismo e improvvisazione.
Scioccano anche le ultime stime, secondo le quali, 1 teenager su 10 usa questi farmaci «a scopo ricreativo». Anche in questo caso fa impressione il trend in crescita: secondo uno studio del Cnr il fenomeno negli ultimi cinque anni è cresciuto del 20%. Non poco. Stando sempre al medesimo studio il 42% di quei farmaci si trovano giù in casa e gli adolescenti non devono far altro che reperirli tra le mura domestiche. Ma non manca, anzi, chi se li procura senza particolari difficoltà in rete (il 28%), mentre un altro 22% va a procurarseli in strada, facendo ricorso a veri e propri “pusher” di psicofarmaci.
Anche gli esperti mettono da tempo sull’avviso contro un trend di eccezionale pericolosità. E lo fanno ribadendo quanto dovrebbe apparire ovvio: ossia che uno psicofarmaco può rappresentare un aiuto quando a prescriverlo – dopo aver fatto attente valutazioni – è il medico. Ma il self-service o il fai da te in questo campo sono pericolosi per la salute almeno quanto – o forse più – l’abuso di psicofarmaci.
Si tratta, come è facile capire, di un tema sul quale non si può prescindere da una buona e corretta informazione. Che però, data la delicatezza dell’argomento, va affidata al personale medico-sanitario e agli esperti nel campo della salute mentale. Improvvisare, comunicare senza adeguata qualifica in questo ambito rischia di portare a equivoci e fraintendimenti. Perché, come dice un vecchio adagio, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Non basta dunque la buona fede per parlare di psicofarmaci, anche senza alcuna volontà di istigare ad abusare.
A tal proposito, sono tanti a puntare il dito su una tendenza controversa: quello di alcuni influencer che si dilungano sui social sulla loro assunzione di psicofarmaci. Un tema ripiombato al centro della scena dopo che, qualche giorno fa, il celebre rapper Fedez si è raccontato sui social. E lo ha fatto per spiegare ai follower il motivo della sua prolungata latitanza dalle reti sociali. Colpa, ha detto la star dei social, della brusca interruzione di uno «psicofarmaco antidepressivo molto potente». «A causa degli effetti collaterali ho dovuto sospenderlo di colpo, senza scalare. Chi ha un po’ di dimestichezza con questi medicinali sa che di solito non si fa», ha detto Fedez. La repentina interruzione repentina gli ha provocato infatti un effetto «rebound» fatto di annebbiamento cognitivo, spasmi alle gambe. E poi nausea, mal di testa, vertigini. «È una cosa che non auguro a nessuno», ha sottolineato il rapper di Buccinasco.
Subito dopo l’esternazione di Fedez alcuni psichiatri hanno immediatamente quanto possa essere pericoloso interrompere improvvisamente uno psicofarmaco. Ma non deve sfuggire che un conto sono le precisazioni da parte di un esperto qualificato come un medico, un altro se a pronunciarsi sull’assunzione di psicofarmaci è un influencer, con una sfera di competenza, diciamo così, di altra natura.
Nell’oceano indistinto dei social network infatti è tutto fuorché scontato che la gran parte dei follower sappia come muoversi all’interno di un tema di elevata complessità come questo. Ragione in più per non occupare un campo da lasciare agli esperti (veri) in materia.
L’altra metà del cielo dei Ferragnez, ad ogni modo, non è stato l’unico personaggio noto a entrare in argomento. Sui social poi si sta diffondendo a macchia d’olio un’altra tendenza da seguire con estrema attenzione: quella da parte di alcuni influencer (o che si presentano come tali) che pontificano sulla psicoterapia anche in questo caso con sconcertante pressapochismo, senza competenza alcuna. Il tutto al solo scopo di lucrare – a suon di messaggi promozionali – dalla sponsorizzazione di alcuni improbabili “consulenti”.
Anche questo è un territorio minato dove l’improvvisazione è una ricetta buona solo per creare disastri.
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