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Maghi e veggenti, cifre da capogiro: colpa di un esercito di “fessi”

Published by
Emiliano Fumaneri

Indovini, maghi e veggenti di ogni risma. Tutti personaggi che prosperano su un business losco che ogni giorno mette assieme cifre da capogiro.

Un giro d’affari miliardario che si nutre della creduloneria di un corposo numero di persone che si rivolgono a questi soggetti per prevedere il futuro. Ma non sono le uniche a pagare per farsi dire cosa accadrà domani.

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C’è chi li chiama “fessi” (Leopoldo Gasbarro sul sito di Nicola Porro) perché si mettono nelle mani di ciarlatani che non aspettano altro che truffarli. C’è chi invece – come chi scrive – è convinto che stiano giocando col fuoco, evocando “forze” e “presenze” sinistre con le quali è meglio non avere mai a che fare.

Comunque li si voglia definire, sono un piccolo esercito: parliamo di tutte quelle persone che ogni giorno pagano per rivolgersi a maghi e veggenti. Solo in Italia le stime parlano di circa 30 mila persone che si mettono quotidianamente nelle mani di maghi, veggenti e astrologi andando a chiedere loro un consulto. In questo mare magnum si trova un po’ di tutto. Si pesca nel torbido di una melma dove si passa con facilità dalle false promesse agli abusi sessuali, dagli allontanamenti da famiglie e amici a un crack economico.

Comunque sia il volume di affari che ruota attorno al mondo oscuro della magia alimenta un business di proporzioni miliardarie. Si parla di un fatturato intorno agli 8,5 miliardi di euro.  A dirlo è un rapporto del Codacons sui soggetti che trafficano con le arti magiche e dicono di leggere nel futuro.

Maghi e veggenti: un parallelo con le previsioni azionarie

Leopoldo Gasbarro ha suggerito un paragone intrigante tra indovini, maghi e sensitivi con le previsioni del mercato azionario. In fondo tanto i primi quanto i secondi dicono di sapere cosa succederà dopo le loro previsioni. Per le quali chiaramente si fanno pagare. Un gioco asimmetrico dove previsioni e consigli svuotano immancabilmente sempre e soltanto le nostre tasche per andare a gonfiare unicamente quelle dei “previsori” di professione.

Verrebbe da chiedersi perché chi ha tutte le risposte sul futuro dei mercati, su come si muoveranno domani i titoli di borsa, debba venirlo a raccontare proprio a noi? Perché non ne approfitta per arricchirsi da sé? La risposta è sconcertante ma semplice: perché trova qualche investitore disposto a pagarlo in ogni caso. E così il business delle previsioni del mercato azionario alimenta a sua volta… un mercato.

Qualcuno ha provato anche a mettere alla prova queste “infallibili” previsioni del mercato. È il caso dell’economista Alfred Cowles, che nel secolo scorso si è messo a “testarle” attraverso due studi. Il primo dei due prendeva in considerazione un periodo di tempo che andava dal 1928 al 1932. Come prima cosa Cowle ha analizzato la capacità di 20 compagnie di assicurazione e di 16 servizi finanziari di selezionare azioni in grado di sovraperformare il mercato. Dopodiché è passato ad esaminare quanto erano state accurate le previsioni di mercato di 25 pubblicazioni finanziarie e le loro raccomandazioni (circa 7.500) di singole azioni ordinarie.

Previsione o caso?

Bene l’analisi statistica non ha mostrato alcuna abilità nel prevedere gli investimenti. Le predizioni individuali hanno previsto ben poco e la mano invisibile del mercato si è rivelata sostanzialmente imprevedibile. Apparentemente ogni successo non è stato dovuto ad altro che a una serie di fattori contingenti. In una parola, al caso.

Quattro anni però rappresentano un campione di esigua dimensione. Per questa ragione a distanza di 12 anni Cowles ha rivisitato il proprio studio. Dopo tutto quel tempo, dove ha trovato la più grande differenza l’economista? Nel constatare quante delle pubblicazioni finanziarie nel frattempo fossero uscite di scena. Delle 25 pubblicazioni originarie, infatti, più della metà avevano chiuso i battenti. Delle 11 pubblicazioni sopravvissute, 4 avevano alle spalle indicazioni che andavano a coprire un periodo di tempo da 10 a 11 anni. Le altre 7 invece avevano 15 anni di previsioni. Ad ogni modo i risultati furono sostanzialmente identici. Nessuna prova che fossero state capaci di prevedere i movimenti futuri del mercato azionario.

Inoltre Cowles si è accorto che diverse previsioni difettavano di chiarezza al punto che in alcuni casi si poteva tranquillamente dire che il lettore avesse interpretato erroneamente la previsione. Però le persone pagavano ancora per quelle previsioni che prevedevano ben poco, se non nulla.

Il motivo di tanta ostinazione? Forse, dopo tutto, la maledetta voglia di cercare sempre scorciatoie per arricchirsi velocemente. Incuranti del fatto che spesso e volentieri, al contrario, queste presunte scorciatoie alla prova dei fatti si rivelino niente altro che autostrade. Sì, ma per impoverirsi con altrettanta velocità.

Non diversamente, del resto, da chi si affida a maghi e indovini.

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