Studi recenti sottolineano i pericoli dell’abuso di alcuni medicinali e i rischi collegati a una malattia terribile come il morbo di Alzheimer.
Un legame che preoccupa di ricercatori, che non smettono di mettere in guardia contro il fai-da-te e l’automedicazione, fenomeni purtroppo molto diffusi negli ultimi tempi.
È un fatto che il progresso medico abbia fatto notevoli passi in avanti. La ricerca ha permesso di elaborare nuove cure e medicinali capaci di salvare vite umane anche in casi che un tempo apparivano già destinati a morte sicura. Ma il progresso spesso sembra presentarsi con un doppio volto. Da un lato ci spinge in avanti facilitando la vita degli esseri umani. Ma dall’altro sembra mettere invece in serio pericolo quella stessa vita umana che vorrebbe far fiorire. Basta solo pensare agli armamenti militari sempre più devastanti, all’inquinamento o all’uso smodato dei social network.
E anche la medicina non sembra essere risparmiata dall’ambiguità del progresso. Il rovescio della medaglia in questo campo è rappresentato proprio dall’abuso dei medicinali.
A preoccupare maggiormente i ricercatori, da questo punto di vista, è l’eccessiva, oltre che sregolata, assunzione di antibiotici. A giudizio di alcuni esperti come Davi Paterson, professore onorario della Facoltà di Medicina dell’Università di Queensland, entro il 2050 la resistenza agli antibiotici (o AMR) potrebbe colpire anche più del cancro.
Proprio per questo motivo il prof. Paterson, che dirige la rete chiamata “Advance-ID”, coordina più di sessanta ospedali in quindici paesi. La rete di Advance-ID collabora anche con le case farmaceutiche per lo sviluppo di nuovi antibiotici e per mettere a punto rapide strategie di prevenzione e diagnosi delle malattie.
La resistenza agli antibiotici non è l’unica cosa a preoccupare gli esperti. Un’altra fonte di allarme è la correlazione tra l’abuso degli stessi antibiotici e l’aumento delle possibilità di ammalarsi di Alzheimer.
La malattia (o il morbo) di Alzheimer, come noto, è quella demenza degenerativa che più intimorisce la popolazione anziana. Allo stato attuale rappresenta la più comune forma di demenza degenerativa, che gradualmente si fa via via più invalidante. Il morbo di Alzheimer tendenzialmente esordisce in età presenile, ovvero dopo i 65 anni. A descriverla, nel 1906, fu per la prima volta lo psichiatra e neuropatologo tedesco Aloysius Alzehimer, dal quale la malattia ha preso il nome.
Uno dei sintomi precoci del morbo di Alzheimer è la difficoltà di ricordare i fatti più recenti. Una difficoltà a cui spesso si accompagnano altri sintomi come la depressione, i bruschi cambiamenti d’umore, afasia e disorientamento. Così il paziente comincia a non essere più capace di prendersi cura di se stesso e si isola non solo dalla società ma anche dalla propria famiglia.
Mancano ancora spiegazioni ben definite sulle cause della malattia di Alzheimer. Sembrerebbe essere collegata a placche amiloidi e ammassi neurofibrillari rilevati nel cervello. Ma la causa è ancora piuttosto dubbia. E malgrado gli innumerevoli studi e i test clinici ancora siamo ben lontani dallo sviluppo di un rimedio efficace che permetta di arrestare e perfino invertire il decorso della malattia. Alcuni fattori di rischio sembrerebbero essere stati individuati in alcuni geni coinvolti. Ma nel mirino ci sono anche traumi, ipertensione e depressione. Poche settimane fa è arrivata la notizia della diagnosi sulla persona più giovane mai registrata nella storia di questa malattia. Si tratta di un giovane di 19 anni di Pechino.
Come ricorda l’Istituto Superiore di Sanità ad oggi l’unico modo di fare una diagnosi certa di demenza di Alzheimer è quello di farla post mortem. Solo dopo la morte del paziente infatti è possibile identificare le placche amiloidi nel cervello attraverso l’autopsia. E questo significa, spiega l’ISS, che «durante il decorso della malattia si può fare solo una diagnosi di Alzheimer possibile o probabile».
Un fatto che comunque non impedisce ai medici di far leva sui molti esami e disposizione per escludere malattie con sintomi simili. Tra queste carte da giocare ci sono gli esami del sangue, delle urine e del liquido spinale. C’è inoltre la possibilità di sottoporre i pazienti a dei test neuropsicologici e alla tac cerebrale. È di fondamentale importanza diagnosticare precocemente la malattia per permettere ai medici di intervenire per trattare alcuni sintomi. Per non parlare del fatto che il paziente così può ancora prendere decisioni sul proprio futuro.
Ultimamente una ricerca sembra aver evidenziato che i pazienti colpiti dal morbo di Alzheimer presenterebbero una composizione microbica diversa. Un dato emerso dal confronto tra la composizione microbica dei malati di Alzheimer e quella di altri due gruppi di pazienti, uno con leggere compromissioni cognitive e l’altro composto da persone senza compromissione cognitiva di sorta. Lo studio, portato avanti dall’Università Californiana di San Diego, ha fatto ricorso alla tecnologia metagenomica. Si tratta di una tecnologia impiegata nell’analisi di campioni di liquido cerebrospinale e feci dei gruppi coinvolti nell’indagine.
Dalla ricerca è emersa una crescita dei batteri associati proprio all’infiammazione nel liquido cerebrospinale delle persone colpite dal morbo di Alzheimer. Dopo questa scoperta i ricercatori avrebbero approfondito lo studio andando ad analizzare i dati di oltre 47 mila persone attraverso un database di assicurazioni sanitarie. Un approfondimento che ha permesso loro di individuare una correlazione tra abuso di antibiotici e la maggiore possibilità di sviluppare il morbo di Alzheimer. Uno studio analogo è stato condotto, a livello sperimentale, anche sui topi.
La conclusione degli autori della ricerca, dunque, è che un uso prolungato di elevati dosi di antibiotici potrebbe aumentare il rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer. I ricercatori tengono però a puntualizzare che questa correlazione non prova affatto che gli antibiotici siano la causa del morbo. Lo studio evidenzia appunto soltanto una correlazione tra morbo di Alzheimer e antibiotici, oltre all’influenza di questi ultimi sul nostro intestino. Gli esiti del test rafforzerebbero poi la convinzione che esista uno stretto legame tra microbiota intestinale e salute cerebrale. Una tesi già sostenuta da diversi medici che da anni studiano un altro disturbo che spesso interessa linguaggio e comportamento, ovvero l’autismo.
Prima di prendere qualunque farmaco dunque sarà indispensabile consultare il proprio medico. Per avere una diagnosi adeguata e prescrizioni di farmaci corretti anche per quel che riguarda la quantità. Indispensabile poi evitare il fai-da-te e l’automedicazione, fenomeni che negli ultimi anni si sono purtroppo diffusi.
Infine, ricordiamo che in Italia sono presenti diverse associazioni di sostegno. A riunire e coordinare tutte le associazioni locali c’è la Federazione Alzheimer Italia. È anche possibile contattare il numero “Pronto Alzheimer” allo 02 80 97 67. Ci si può mettere in contatto anche con Alzheimer Uniti Roma o con Airalzh, l’Associazione Italiana Ricerca Alzheimer Onlus.
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