I paletti introdotti dalla manovra di Bilancio hanno reso quasi impossibile l’uscita anticipata dal lavoro a una platea di decine di migliaia di lavoratrici.
Anche loro, come capitò al tempo della riforma Fornero, si sono viste “esodare” dalla stretta dell’esecutivo, che accusano di voler fare cassa a loro spese.
Quando fu approvata la legge Fornero sula riforma del sistema pensionistico tenne a lungo banco il tema dei cosiddetti “esodati”. Erano quei lavoratori che avevano optato per il pensionamento anticipato facendo leva sulle condizioni e sulle indennità stabilite alla epoca. Salvo poi ritrovarsi spiazzati nel momento in cui la nuova legge allungava l’età della pensione.
Una questione che rischia di riproporsi adesso con le “esodate” da Opzione donna. Vale a dire tutte quelle lavoratrici impossibilitate a uscire dal lavoro e andare in pensione perché la manovra di Bilancio 2023, la prima targata Meloni, ha cambiato le regole sull’assegno.
Le regole sono cambiate quando la legge di bilancio è approdata alla Camera. Quando Opzione donna è stata sì prorogata fino al 2033, mantenendo l’anzianità contributiva di almeno 35 anni al 31 dicembre 2023, ma alzando a 60 anni il requisito anagrafico e legandolo al numero dei figli. Con la nuova Opzione Donna la riduzione è pari a un anno in meno per ogni figlio, fino a un massimo di due. Il che vuol dire che le lavoratrici con un figlio usciranno a 59 anni, quelle con due figli a 58 anni di età.
Questa la norma inserita nella manovra che riconosceva la possibilità di uscire in anticipo dal mercato del lavoro soltanto a tre categorie: caregiver, ovvero chi assiste un coniuge o un parente di primo grado convivente con disabilità, chi ha una invalidità uguale o superiore al 74%, chi è stata licenziata o lavora per un’azienda per la quale è attivo un tavolo di crisi. Per queste tre categorie, la riduzione a 58 anni è indipendente dal numero di figli.
Con la stretta decisa dal governo Meloni, ha calcolato Repubblica, le lavoratrici “esodate” dovrebbero aggirarsi attorno alle ventimila. Perciò le lavoratrici tornano a scendere in piazza dopo il primo presidio del 19 gennaio davanti al ministero del Lavoro. Le “esodate” chiedono il ritorno alla versione originaria di Opzione Donna, quella che non prevedeva il “paletto” dei figli per lasciare il lavoro a 59 o a 58 anni di età.
Il quotidiano ricorda come lo stesso esecutivo, nella relazione tecnica della legge di Bilancio, avesse ammesso una platea di potenziali lavoratrici interessate pari a solo 2.900 donne nel 2023. Cifre comunque basse rispetto alle 23.812 andate in pensione nel 2022 grazie a Opzione Donna. Basse anche nei confronti delle 20.681 del 2021. Lo scorso anno il governo Draghi stanziò 111 milioni. Mentre oggi l’esecutivo ha stanziato appena 21 milioni.
«Hanno fatto cassa con Opzione donna, senza spiegarci perché, pur sapendo che si tratta di un anticipo che le donne si pagano da sole, rinunciando fino a un terzo dell’assegno con il ricalcolo contributivo», accusa Orietta Armiliato, fondatrice del Comitato “Opzione Donna Social”.
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